
Un’altra sveglia che suona, un’altra routine che inizia. L’ennesimo caffè che ha smesso di fumare ormai da qualche ora, i toast bruciacchiati ancora inseriti nel tostapane. Il bucato impilato sopra la lavatrice che straborda dalle ceste, in attesa di qualcuno che lo lavi. I piatti sporchi di una settimana accatastati nel lavello, il rubinetto che perde. La segreteria, che segna 13 messaggi non letti da non so più quante mattine, mi ricorda che prima o poi dovrò uscire da questo letargo, ma più poi che prima. La buca delle lettere dovrebbe essere piena di posta; Francesco, il portiere, mi ha citofonato due volte per ricordarmi di ritirarla, si è persino offerto di portarmela su ma ho rifiutato. Ho avvertito compassione nella sua voce e un filo di tenerezza, assurdo come le voci si spargano velocemente anche in un condominio di oltre 13 piani. Il frigo mi ricorda che necessita di essere rifornito, aprendolo mi accorgo di essere rimasta con due cipolle riposte nell’ultimo piano da tempo immemore e una bottiglia di vino bianco. In fondo non ho fame, non so nemmeno perché io abbia aperto lo sportello, forse per abitudine. Eppure un bel bicchiere di vino non mi dispiacerebbe… “Sono solo le undici del mattino” mi ricorda la mia mente, in effetti affogare nell’alcool non è la soluzione migliore nonostante sia la mia preferita.
Mi dirigo in bagno per sciacquarmi il viso e mi imbatto nel riflesso nello specchio, così terribilmente triste e scialbo, il puro riverbero del fallimento, o perlomeno del mio. Se prima sentivo di annaspare nel mare della vita, adesso mi sembra semplicemente di affogarci, come un’oliva in un martini. Gli occhi rossi per il continuo pianto, il trucco colato che ormai è diventato una patina nera che li contorna, i capelli arruffati raccolti in uno chignon. Accendo la televisione ma non l’ascolto davvero, mi concede solo l’illusione di non essere totalmente sola. Assurdo vero? Colei che ha sempre respinto tutti, colei che è sempre stata così innamorata della sua indipendenza e solitudine, ora che è rimasta sola, sente un bisogno angosciante di qualcuno vicino. Non uno qualunque, certo. Il volume alto stordisce i miei pensieri che, per un attimo, si dissolvono come una nuvola di fumo nell’aria e l’attimo successivo sono nuovamente lì, a pulsare, nella mia testa affollata. I telegiornali non parlano mai delle cose importanti, lo ripetevi in continuazione. “Quali sono le cose importanti?”- ti chiesi un giorno – “Le cose importanti sono stranamente le più piccole, quelle più stupide, i dettagli di cui nessuno tiene conto. Ad esempio il modo in cui tu ti addormenti accanto a me ogni notte, la tua figura che cerca invano di raggiungere lo scaffale più alto col caffè la mattina, il sorriso che sorge spontaneo sul tuo viso quando incroci lo sguardo di un bambino, le corse sotto la pioggia per non bagnarci o le passeggiate in riva al mare col solo rumore delle onde come sottofondo. Le cose importanti sono quelle che ti scaldano il cuore, che ti fanno rabbrividire al solo pensiero, quelle che svegliano il tuo ardore nascosto”. Mi rispondesti con una tale naturalezza che non potei far altro che ridere, alzando gli occhi al cielo, per non fare vedere che i tuoi complimenti, che determinate tue attenzioni, mi scombussolassero così tanto. Tu continuasti a guardarmi, dritto negli occhi, con la stessa intensità con la quale pronunciasti quelle parole. Fui così grata di quello sguardo in quel momento, quello sguardo che celava amore e protezione al contempo, uno sguardo che avevo sempre cercato negli occhi delle persone sbagliate. Mi soffermai a guardarti sorridendo e tu ridesti appresso a me e alla mia inconsapevolezza di poter possedere un ruolo così importante nella vita di qualcuno.
Martina Monti, V^H
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