Ci troviamo nel 2020 e stiamo, addirittura, andando incontro ad un ennesimo anno: il 2021. 2020 anni sono un gran numero se li si analizza dal punto di vista numerico ma, per la storia, forse, sono solo un istante leggermente più prolungato. In 2020 anni di storia dell’umanità ideali tutti dovrebbero possedere la libertà di parola, di culto, di stampa così come di amare chiunque si voglia senza limiti di sesso, razza o altro. In 2020 anni di storia ideali dovrebbero essere state eliminate tutte le forme di discriminazione, tutte le disparità sociali, all’insegna del buon senso e di una civile convivenza. Tuttavia ciò è solo una bellissima utopia in quanto, ancora oggi, in 2020 anni di storia, non siamo stati nemmeno in grado di permettere ad una donna di uscire di casa tranquillamente, che siano le tre del pomeriggio o del mattino, che indossi una minigonna o una tuta, figuriamoci tutto il resto. Almeno una volta nella propria vita, ogni donna si è sentita in pericolo per strada. Almeno una volta nella propria vita, ogni donna si è sentita violata, anche solo attraverso le parole. Almeno una volta nella propria vita, tutte le donne sono state vittime di cat-calling. Ma effettivamente cos’è il cat-calling?
Il termine “cat-calling” fa riferimento a tutte le molestie verbali e non che avvengono per strada. Nonostante tutti i sessi siano possibili destinatari, le donne sono colpite in maniera sensibilmente più frequente, ritrovandosi spesso nelle grinfie dei loro carnefici, che si lavano le mani dalla situazione, liquidandola con semplici frasi del tipo:” Sono complimenti quelli che vi fanno!” oppure “Siete esagerate!”, “Sei una bella ragazza, è normale che ti succeda!”. Ebbene, no.
Poniamo il caso ipotetico in cui, mentre si cammini per strada tranquillamente, sia del tutto normale che un completo sconosciuto voglia fare un complimento ad una ragazza, abbassando il finestrino e urlando:” Ciao, bella!” Allora perché, tutte le vittime di cat-calling, quando si trovano a raccontare la propria esperienza traumatica, dicono di sentirsi sporche, inutili, inadatte, ma soprattutto arrabbiate dopo questo cosiddetto “complimento”? Capiamo bene quindi che se non si tratta di un disagio singolo, ma piuttosto di uno collettivo (che tra l’altro provoca questi sentimenti), non crediamo proprio che le vittime in questione siano esagerate o che quelli posti dagli abusanti siano dei complimenti. Infatti, sono davvero tante le ragazze che ammettono di allungare la strada per farla con le amiche ed evitare di ritrovarsi da sole; sono davvero tante le donne costrette a rientrare prima a casa o che alla fine per paura, decidono addirittura di non uscire. Si tratta di un fenomeno, sfortunatamente, in crescita e che sta venendo alla ribalta negli ultimi anni grazie alla denuncia delle stesse vittime.
Il cat-calling non è un modo di corteggiare una ragazza; è una molestia a tutti gli effetti, mirata ad intimorire.
Secondo la Harvard Law Review, le molestie nella maggior parte dei casi, sono proprio opera di uomini ai danni dell'altro sesso. Appurato che il cat-calling sia una molestia a tutti gli effetti, perché allora non viene punita e ci si passa sopra, a volte liquidando il fenomeno con frasi sopra citate prima? Per esempio, in Perù, dal 2015, il cat-calling è considerato reato; nelle Filippine idem; anche in Francia, dal 2018 coloro che commettono molestie verbali possono essere sanzionati con multe che partono dai 750€ fino ai 2.500€. Nonostante sia una piccola vittoria, ciò risulta solo una misera conquista in quanto non sono soltanto le ragazzine under 15 ad essere vittime e in quanto negli altri paesi non vi è alcuna tutela. A noi donne chi ci protegge? Chi ci difende?
Indovinate per esempio in quale paese il cat-calling non è considerato un reato? Naturalmente, in Italia, dove il 79% delle donne ha dichiarato di essere stata molestata verbalmente per strada prima dei 17 anni.
Lo scorso 23 aprile, proprio di fronte a un no tutto italiano, simbolo della lotta al cat-calling e della volontà di renderlo un reato in Italia è la studentessa Linda Guerrini che lo scorso 23 aprile ha lanciato su change.org la petizione “Rendere il cat-calling un reato” e promuove sui social, insieme a Maria Anouk Benini, la campagna “Wannabesafe”. “Volevo fare qualcosa di concreto – racconta la ragazza – Quel giorno ero uscita di casa in tuta, in pieno lockdown, per andare a fare la spesa e nell’arco di dieci minuti ho subito otto molestie. Quando sono tornata a casa sono scoppiata a piangere”.
È sempre importante denunciare quando avvengono episodi di cat-calling. Sarebbe anche importante se in qualche modo si riuscisse a rispondere a questi insulti: da un lato, la rabbia monta irrimediabilmente e la voglia di scagliare questa ira sugli abusanti si fa sentire nel sangue pulsante, dall’altra però, scatta sicuramente la paura, l’istinto di sopravvivenza e quell’attimo fuggente di lucidità che intima che chi si trova in quella macchina potrebbe seguirti, senza sforzo, scendere dalla macchina e fare molto peggio. Le vittime, dunque, finiscono per restare in silenzio e subire, inerti.
Esistono diverse pagine social che riportano i racconti di molte ragazze, dei posti sicuri per esporsi e rendere le persone consapevoli, per fare la cosiddetta awareness. Tra queste, su Instagram, troviamo un progetto globale del “Catcallof”, seguito da diverse città (esistono per esempio Catcallofnewyork, Catcallofparis, oppure Catcallofmilan). Sulla stessa piattaforma, troviamo anche la pagina di Wannabesafe.italia, come citata prima, che si occupano anche della petizione di cui già abbiamo parlato su change.org; questo è il link per far parte della petizione: https://www.change.org/p/parlamento-rendere-il-catcalling-un-reato
Germana Vitale, V^E
Martina Monti, V^H
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