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NOI CHIEDIAMO GIUSTIZIA

Chiara Lo Nigro

 


Lynnwood, Washington. È il 2008 e nella tranquilla cittadina a nord di Seattle è appena accaduto un evento che starà sulle bocche di tutti per molto tempo. Una giovane ragazza, chiamata con uno pseudonimo, “Marie”, è stata vittima di ripetuti stupri durante la notte nella sua stessa abitazione. Il giorno seguente confessa tutto alla polizia, ma dopo svariate visite mediche e pressanti interrogatori da parte di agenti privi di empatia, Marie decide di ritirare le accuse e dichiara di aver inventato tutta la tragica storia, ricevendo così una multa da 500$ per falsa testimonianza. Il caso di Marie viene dunque archiviato.

Nel 2011 alla Detective Stacy Galbraith viene assegnato il caso di una ragazza della città di Golden, Colorado, la quale dichiara di aver subito violenze sessuali per ripetute ore. La Detective non si limita solamente a mettere a proprio agio la giovane ragazza durante la dichiarazione (il minimo richiesto per un qualsiasi interrogatorio), ma, facendo delle ricerche più approfondite, riesce anche a scoprire che modalità simili allo stupro subìto dalla sua vittima si sono verificate in altre città e presumibilmente dalla stessa persona.

Nel 2012 Marc Patrick O’Leary viene arrestato con l’accusa di violenza sessuale su quattro donne e una quinta in procinto di avvenire, con la conseguente pena di 327 anni di prigione. All’interno dell’abitazione dell’uomo vengono trovati prove schiaccianti del reato commesso e anche le foto delle vittime, tra cui quelle di Marie.

Solo nel 2015, Marie trova la forza e il coraggio di parlare dell’accaduto denunciando i terribili e mostruosi fatti, e proprio in quell’anno i giornalisti Ken Armstrong e T. Christian Miller, sulla base delle testimonianze raccolte, scrivono l’articolo “An unbelievable story of rape”.


Impossibile riuscire a mettersi nei panni della giovane Marie, che a soli 18 anni ha subito una tale violenza che la segnerà per il resto della sua vita. Ma ancora più criptico è il motivo che ha spinto questa giovane ragazza a ritrattare la sua testimonianza, facendola passare agli occhi di tutti come una bugiarda. La spiegazione al suo comportamento è semplice e anche evidente, poiché molto frequente in casi di questo genere, e risiede solo ed esclusivamente in una burocrazia che non conosce empatia e che, di fronte a questi avvenimenti, continua a trattare le vittime come dei veri e propri oggetti, non curandosi dello shock emotivo appena subìto. Basti pensare che in Italia la violenza sessuale è stata considerata reato contro la morale pubblica fino al 1996, e solo dopo quell’anno come reato contro l’individuo.

Ma prima di allora i processi legali contro reati di tale natura erano trattati quasi con superficialità; e a prova di ciò la Rai nel 1979 passò in onda per la prima volta il “Processo per stupro” pronunciato dall’avvocato Lagostena Bassi, la quale non difese la vittima solo dal responsabile della violenza, ma anche, e soprattutto, dai loro legali, i quali affermavano che la passività della ragazza durante tale violenza attenuasse la rilevanza del gesto. Più volte la Bassi durante la sua arringa pronunciò le parole “Noi non chiediamo le condanne, ma rendete giustizia […] a tutte le donne attraverso la vostra sentenza”, andando così a evidenziare come negli anni ’70 tali accuse venissero accolte quasi con superficialità e leggerezza. Lagostena Bassi, nonostante sia vissuta in un’epoca diversa dalla nostra, ha tramandato dei valori che ancora oggi dovrebbero, e devono, essere sostenuti: il coraggio, la voglia di giustizia, la determinazione di non fermarsi davanti a un no. Tutto questo serve per far sì che in futuro gente come Marie, e molte altre donne, riescano a trovare il coraggio di denunciare i fatti subìti, senza paura di essere giudicate!

 

Chiara Lo Nigro, V^A

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