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LETTERA DI UN PADRE, CHE HA VISSUTO DURANTE LA PANDEMIA DI CORONAVIRUS, AL FIGLIO

Salvatore Sanfilippo

 

Caro Leo, ho deciso di scriverti questa lettera perché ieri è stato l’anniversario della fine della pandemia da coronavirus e, per farti capire meglio cosa sono stati realmente quegli anni, voglio raccontarti le mie emozioni, ciò che ho provato. All’epoca ero un ragazzo di neanche 18 anni, che non vedeva l’ora arrivasse il sabato per uscire con gli amici, proprio come te. Ricordo come fosse ieri la notte di capodanno del 2019. Io e i miei amici di sempre eravamo tutti insieme a ballare, a divertirci e a brindare all’inizio del nuovo anno che, come sempre, speravamo potesse dare una svolta alle nostre vite, ignari di quello che sarebbe successo nei mesi successivi. Durante le prime settimane di gennaio, infatti, abbiamo imparato a conoscere la città cinese di Wuhan, l’epicentro della diffusione del mostro contro il quale tutto il mondo ha strenuamente combattuto. Inizialmente la questione è stata presa sotto gamba, non solo da parte dell’Italia, ma in generale di tutta l’Europa. Ci sentivamo immuni, credevamo che la questione non ci riguardasse, che non avremmo mai avuto anche noi gli stessi problemi della Cina, che il virus non sarebbe mai riuscito ad arrivare nel nostro paese e a cambiare le nostre abitudini di tutti i giorni, la nostra normalità. Nel giro di poche settimane, purtroppo, ci siamo dovuti ricredere e ci siamo ritrovati ad affrontare una guerra, una guerra atipica, contro un nemico invisibile e vigliacco, che non si combatteva con le armi, ma con le mascherine, la quarantena e il distanziamento sociale. Quella normalità, la nostra vita di tutti i giorni, che tanto ci sembrava scontata, ci era stata portata via e non sapevamo quando avremmo potuto riaverla. Devo ammetterlo, non è facile ricordare quel tremendo periodo della mia vita, durante il quale per mesi e mesi non si è fatto altro che parlare di morti, di migliaia di contagiati al giorno, di terapie intensive stracolme e di medici che finivano per perdere la loro stessa vita pur di salvare quelle altrui. A quell’età, nella mia ingenuità, anche io ho sottovalutato il problema. Ero convinto che la situazione sarebbe stata gestita in maniera diversa, che il nostro governo (con l’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte) sarebbe riuscito a contenere il contagio, ma non mi sentivo prima e non mi sento ancora oggi di attaccarne l’operato perché nessuno poteva prevedere che il virus si diffondesse in maniera così rapida su tutto il territorio nazionale. Ho preso coscienza della reale gravità della situazione quando è stato deciso di mettere l’intero paese in quarantena con conseguente chiusura di scuole e università, cosa che mi ha colpito in maniera diretta in quanto studente liceale. Tra le attività della vita pre-quarantena, andare a scuola era indubbiamente una di quelle che mi mancavano di più. C’erano giorni in cui trovavo tremendamente frustrante non poter vedere i miei professori, i miei amici e compagni di classe, perché la scuola, prima di essere luogo di lezioni e interrogazioni, è luogo di aggregazione sociale, e il non poter andarci significava non avere la possibilità di vedere alcune delle persone che occupavano un ruolo fondamentale nella mia vita. La nostra era comunque una generazione fortunata perché poteva usufruire della rete internet che rese possibile la didattica a distanza, fondamentale per portare a termine i programmi, tramite le lezioni online, che comunque non potevano essere assolutamente paragonate alle vere lezioni nelle aule scolastiche. Durante le videolezioni mancava tutto il lato umano della vita scolastica, il poter guardarsi negli occhi e captare le sensazioni degli altri tramite gli sguardi. Anche il semplice scambio di opinioni tra i professori e noi ragazzi era reso molto complicato dai continui problemi di audio o di connessione, causati dal sovraccarico delle reti, non abituate ad un tale quantità di persone collegate nello stesso momento. Un’altra delle cose che mi risultavano più difficili era indubbiamente il non poter vedere i miei nonni. Infatti, i più esposti al contagio erano proprio gli anziani e, per proteggerli, io e i miei fratelli abbiamo deciso di non vederli per diversi mesi, fino a quando le cose non tornarono alla normalità. Io ho sempre avuto un legame particolare con loro, avendoci passato sempre tanto tempo prima della quarantena e il fatto di non poterli vedere, specie in certi giorni, mi buttava molto giù di morale. Ma bisognava resistere. Credo che questa sia la cosa più importante che ho imparato durante quel surreale periodo della mia vita. Ho capito che non ci si deve mai arrendere, anche quando sembra non ci sia una via d’uscita, anche quando davanti a noi vediamo tutto nero, bisogna essere capaci di tenere la testa alta, stringere i denti e ricordare che, a volte, serve rinunciare a qualcosa, seppur con difficoltà, per potere, un giorno, ritornare a essere felici. Per potere, quindi, riprenderci la nostra vita. Ricordo perfettamente il giorno in cui il nuovo premier Draghi, in una delle sue innumerevoli conferenze stampa, comunicò alla nazione che era tutto finito, che l’Italia e gli italiani avevano vinto la loro guerra. Era un pomeriggio estivo e dopo aver sentito quelle parole una serie di emozioni mi assalirono tutte insieme nello stesso momento. Non riuscii a trattenermi e scoppiai in un pianto liberatorio. In quelle lacrime erano contenute la grande tristezza per tutti coloro che avevano perso la vita, ma anche le gioia e la felicità del poter tornare, finalmente, alla normalità. In quel giorno acquisì anche una grande consapevolezza. Capii, infatti, che solamente uniti si riescono ad affrontare certi problemi e certe situazioni che altrimenti sarebbero insormontabili. Io non so quali difficoltà la vita ti metterà di fronte e soprattutto non so quando lo farà, ma quando succederà, vorrei che tu rileggessi questa lettera. Vorrei che tu imparassi a resistere, come un tempo ho resistito io. Rileggi queste righe e ricorda, non smettere mai di mollare, combatti sempre, combatti fin quando non avrai vinto.

 

Totò Sanfilippo, V^N

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