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LA SOCIETÀ


 

La mattina è sempre più grigia quando ti svegli senza qualcuno accanto.

Ormai sono abituato ad essere solo, a vivere solo.

Sono così solo che non ricordo più neanche che programmi ci siano in tv; l’unico che mi viene in mente è un concorso musicale, ne parlano tutti in ufficio.

Prima di tornare in quella prigione metto la moka sul fuoco. Mia madre mi ha insegnato a usare l’acqua frizzante per fare la schiuma e, anche se poi ho scoperto non fosse vero, è rimasta questa abitudine. Chissà come sta, non la sento da più di due anni.

Il sole sta sorgendo, oggi mi sono svegliato presto anche per i miei standard. Nonostante ciò, sento la necessità di uscire di casa, di spostarmi da una cella all’altra.

Mi vesto, collego gli auricolari all’mp3, chiudo il portone dietro di me. Ascolto solo musica classica, principalmente Verdi e Bach, perché già faccio fatica ad ascoltare quello che dico io, non reggo il chiacchiericcio degli altri.


Non incontro nessuno per le scale, non incontro nessuno nell’atrio, non incontro nessuno in garage.

Di tutto ciò me ne accorgo solo quando non incontro nessuno neanche per strada.

Non capisco perché le vie siano vuote, forse c’è un evento d’importanza nazionale, forse il mondo non regge i miei orari così mattinieri. Qualcosa inizia a non quadrare quando il bar dove mi fermo per mangiare qualcosa, l’unica finestra che mi concedo sul mondo esterno, è schermato dalle saracinesche.

Accosto e scendo. Mi guardo intorno. Sono solo.

Non so cosa pensare: ho paura ma non ho mai dato molta importanza alle altre persone.

Dopo 15 minuti di confusione, mi alzo dal ciglio della strada, salgo in macchina.

Ho pensato che per me la società è sempre stata una gabbia, questa è la mia occasione per essere libero. Mi sale un brivido lungo tutta la colonna vertebrale.

Accelero, raggiungo i 100 chilometri orari, tanto sono libero.

Prendo l’estintore dal bagagliaio, lo lancio contro una vetrina di un negozio di lusso, prendo tutto quello che trovo, tanto sono libero.

Altro negozio, bomboletta spray, scrivo il mio nome ovunque, tanto sono libero.

Faccio quello che voglio. Arrivo sulla scogliera che si affaccia sull'oceano, voglio sentirmi invincibile. Mi spoglio, mi guardo intorno.

Ho sempre sognato di essere solo, odio la società.

Ma non sono libero, non lo ero prima e non lo sono adesso.

Le ginocchia tremano. Prima che me ne possa accorgere mi ritrovo accasciato a terra. Singhiozzo. Piango.


Mi risveglio in lacrime. Mi guardo attorno. Nel buio della notte riconosco i contorni delle barre della mia cella, le luci delle guardie. Sono passati già 2 anni da quando la società mi ha rifiutato, da quando ho smesso di essere libero.

La mia gabbia non è mai stata il mondo esterno, sono io.

Giro il cuscino dal lato asciutto. Continuo a piangere.


 

Giorgio Gagliardo IV^G

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