
Questo meraviglioso modo di esprimersi nasce dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli o materiali lavorati per essere indossati. Dopo il periodo preistorico, l’abito assunse anche delle precise funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi e le mansioni sacerdotali, amministrative e militari.
Nei secoli passati l’abbigliamento alla moda era appannaggio delle sole classi abbienti, soprattutto per via dei costi dei tessuti e dei coloranti usati, che venivano estratti dal mondo animale o vegetale. Prima dell’Ottocento l’abito era considerato talmente prezioso che veniva addirittura elencato tra i beni testamentari. I ceti poco abbienti erano soliti indossare solo abiti tagliati rozzamente e, soprattutto, colorati con tinture poco costose come il grigio, ai quali si aggiungevano scarpe in panno o legno. Non potendo permettersi il lusso di acquistare abiti nuovi confezionati su misura, tali classi ripiegavano spesso su capi di abbigliamento usati.
Le donne, che solitamente erano escluse da qualsiasi ruolo sociale attivo, non per questo rinunciavano a vestirsi con cura, ricchezza ed eleganza, come a rappresentare lo specchio della posizione del marito. Alcune donne assunsero la funzione di arbitro d’eleganza, come per esempio Isabella d’Este.
Un aspetto sicuramente interessante da analizzare è quello del mascheramento. Gli abiti infatti possono servire a nascondere lati della personalità che non si vogliono far emergere o, viceversa, a mostrarli; basti pensare al proverbio: “L’abito non fa il monaco.”
Fino a quando non vennero introdotti i primi giornali nel Seicento, la moda si diffuse in modo lento, per poi accelerare sempre di più il suo sviluppo. Prima e dopo quel secolo, guerre, viaggi, matrimoni, lettere di signori e perfino spionaggio, furono i sistemi più usuali per conoscere nuove mode. Il pittore Cesare Vecellio scrisse un volume, datato alla fine del Cinquecento e intitolato “De gli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo” che ha avuto una fortuna enorme surclassando la sua fama di artista. Il testo, ricchissimo di incisioni e descrizioni parla non solo delle mode venete, ma anche di quelli di altre regioni italiane, senza trascurare le mode estere, specie orientali. Anche le incisioni sul costume e i libri di figurini per sarti, che mostravano gli abiti interi e i loro modelli, furono efficaci propagatori di fogge. Alla diffusione del fenomeno contribuisce la nascita del giornalismo di moda, che si sviluppa nella seconda metà del XVII secolo.
Nel 1672 fu fondato in Francia il Mercure Galant, nato come bollettino letterario, giornale di pettegolezzi e di moda. Al Mercure Galant fecero seguito, specie nel Settecento, numerosi altri giornali, che solitamente copiavano senza riguardo i modelli francesi, che durante il secolo erano all'avanguardia in tutta Europa. Tipici casi italiani sono il Giornale delle Nuove mode di Francia e d'Inghilterra e il Corriere delle Dame, che continuò la sua pubblicazione anche nell'Ottocento.
Bisognerà attendere però il secolo successivo, dopo l'abolizione di leggi, dazi, barriere doganali, perché la stampa di moda si diffonda liberamente in tutto il mondo.
La seconda guerra mondiale fece perdere il ruolo di protagonisti a molti stati, mentre lasciò spazio a Stati Uniti e Unione Sovietica, che ripartirono il mondo in due sfere d’influenza. In Europa si avvertì intensamente il fascino del modo di vita americano, dei suoi alti redditi e dei suoi grandi costumi. Mai come allora le mode americane invasero il vecchio mondo: cinema e televisione proposero un modo di vestire, di parlare, di ballare e cantare che venivano d’oltre oceano.
Protagonisti furono per la prima volta i teenagers, che si distinguevano dagli adulti soprattutto per l’abbigliamento: blue-jeans, t-shirt, maglioni, giacche in pelle, look trasandato o sportivo e per gli uomini, brillantini in testa. In Europa questi modi di vestirsi e di comportarsi esplosero prima tra i gruppi giovanili, che trovarono in questi modelli una loro identità.
Per la prima volta nella storia del costume le masse facevano opinione. Erano gli anni della ricostruzione europea e del miracolo economico , propagandato anche dai giornali di moda che si moltiplicavano a vista d’occhio. Anche il mondo della moda cominciò presto a risentire del consumismo di massa e del boom economico.
Le donne si stancarono di portare i vestiti rivoltati e fuori moda delle loro mamme e copiarono i modelli delle riviste femminili con l’aiuto di cartamodelli e di provvidenziali sartine.
Se Parigi continuava a dettare legge, a Firenze stava nascendo l'industria della moda italiana, e nel 1952 a Palazzo Pitti, presso la Sala Bianca, si tenne la prima di molte sfilate e manifestazioni. L'organizzazione si rivolse a cercare nuovi sarti non tra le storiche case di moda italiane, ma tra quelle che più tentavano di distaccarsi dai modelli parigini , come Roberto Capucci, Vanna, Giovannelli-Sciarra, Mingolini-Gugenheim, Jole Veneziani, Carosa(della principessa Giovanna Caracciolo), Biki, Emilio Schuberth, Vincenzo Ferdinandi, Emilio Pucci, Simonetta, Eleonora Garnett, le sorelle Fontana, Alberto Fabiani, Antonelli, Germana Marucelli, Clarette Gallotti, Mirsa, Polinober.
Parigi però dettava ancora legge: Dior, fino alla sua morte nel 1957, lanciava due collezioni all'anno che rendevano completamente superate quelle precedenti. Nel 1957 Dior rivoluzionò ancora la moda con la linea sacco, che creò molto scalpore perché nascondeva totalmente il punto vita.
Coco Chanel tornò a riaprire la sua casa di moda e, indissolubilmente fedele alle sue idee, ripropose i suoi mitici tailleurs, dalla giacca senza collo e dalla gonna semplice e diritta.
Fu sempre lei che lanciò la scarpa Chanel, senza tallone e con la punta in colore diverso: era un'alternativa ai tacchi a spillo che dalla metà degli anni cinquanta martoriavano i piedi di molte donne.
Nello stesso periodo si sviluppò sempre di più la moda per il tempo libero. Sulle spiagge fece la sua prima comparsa il bikini, costume da bagno in due pezzi, così soprannominato dal test nucleare sull'atollo di Bikini.
I pantaloni continuavano la loro marcia verso il successo.
La maglia, da sempre considerata materiale povero e popolare, cominciò a fare parte delle collezioni.
Con la morte di Dior, Yves Saint Laurent diventò direttore della maison.
La sua prima collezione, attesissima, ebbe un successo travolgente: la linea a trapezio, era fresca, giovanile, e sostanzialmente una continuazione del Sacco di Dior. L'entusiasmo per il nuovo couturier durò però fino a quando, tradendo un accordo con gli altri sarti di non alterare l'orlo della gonna, Saint Laurent lo alzò di ben sette centimetri, finendo poi con lo scoprire le ginocchia. A causa della bagarre che ne seguì il giovane sarto ebbe un collasso e si ritirò da Dior cedendo il posto a Marc Bohan. Nel 1962 aprì a Parigi un atelier per conto proprio.
Gli anni sessanta, così irrequieti e provocatori, hanno radicalmente cambiato la morale e lo stile di vita in cui siamo tuttora radicati. In Inghilterra Mary Quant lanciò nel 1964 la minigonna, una sottana o un tubino che scopriva abbondantemente le ginocchia. Non potendo più portare reggicalze, si inventarono i collant colorati. Mary Quant lanciò anche la moda della maglia a coste (skinny rib), che fasciava la parte superiore del corpo.
In Francia André Courrèges fu l'unico a seguire la moda giovane, adottando gonne corte con stivaletti senza tacco, calzamaglie bianche, linee geometrizzate, e usando in modo massiccio i pantaloni, che dagli anni sessanta entrarono di prepotenza nel guardaroba femminile di ogni giorno. Audace e innovativo, Courrèges lanciò nel 1969 la Moda spaziale ispirata al primo sbarco dell'uomo sulla luna. Le sue modelle, vestite di abiti metallizzati e parrucche sintetiche multicolori, fecero epoca. D'altro canto tutto il periodo guardò al materiale sintetico con interesse, includendo polivinili, con cui si potevano creare effetti di trasparenza, e tessuti acrilici.
Alla fine del periodo gli stili si sovrapponevano: si ebbero abiti unisex, tra cui la famosissima Sahariana lanciata da Saint Laurent, abiti trasparenti in stile nude look, abiti corti e lunghi.
La minigonna non accennava a stancare, tuttavia si cercò di trovare compromessi nella lunghezza degli orli.
Dal 1967 fu lanciato il Maxi Cappotto, sulle orme del successo del film “Il dottor Živago”, completato da un immenso colbacco di pelo.
Mini e Maxi furono abbinati, finché non si arrivò a una via di mezzo, il Midi, con cui si chiudevano gli anni sessanta.
Nata dalle idee innovative che si diffusero alla fine degli anni sessanta, la moda degli anni settanta assunse la forma di un vero e proprio movimento. Gli Hippy indossarono camicioni larghi e lunghi, tuniche trasparenti, colori sgargianti, fiori giganti, monili di tutti i tipi e indumenti esotici.
I capelli si trasformarono sempre più in un groviglio di riccioli incolti. Questo look un po' straccione al di là della moda ufficiale diventò una vera e propria antimoda, simbolo di libertà. Anche il movimento femminista di quegli anni si identificò con le gonne lunghe, gli abiti acquistati per pochi spiccioli ai mercatini dell'usato e gli zoccoli. Alla moda di quel periodo furono spesso collegate anche le diverse idee politiche: per esempio in Italia la giacca di pelle, gli occhiali Ray Ban e le polo Lacoste erano prerogativa dei giovani di destra, mentre i giovani di sinistra preferivano l'eskimo verde indossato sopra ai jeans, scarponcini simili ai Clarks Desert Boots, maglioni di taglia abbondante e borse a tracolla in tela o cuoio.
Elio Fiorucci fu il primo che in Italia captò questo tipo di moda controcorrente fatta di stracci. Intuì che il marchio poteva essere un elemento indispensabile per attirare l'attenzione dei giovani compratori, e inventò il suo. Il suo emporio era un punto di incontro, e vi si poteva trovare di tutto: abiti rifiniti male, zatteroni altissimi e pericolosi, felpe, jeans, ma anche gadget molto colorati. A lui si deve l'introduzione del tessuto elasticizzato nella moda, che gli permise di inventare tute molto aderenti adatte alla disco-dance.
Sull'onda del femminismo si indossarono strati su strati di maglia, berretti, sciarpe, scaldamuscoli.
Tra le novità, proprio all'inizio del periodo, vi furono gli hot pants, pantaloncini assai più corti delle minigonne e che lasciavano interamente scoperte le gambe.
Ma il couturier più importante del periodo fu Yves Saint Laurent. Coltissimo, appassionato d'arte e fantasioso, aveva capito che le idee nuove possono venire anche dalla strada.
Innovatore del guardaroba femminile, applicò alla donna diversi capi tradizionalmente maschili, come lo smoking, il trench, i knickerbockers e il tailleur pantalone.
Negli anni ottanta si assistette a una ridefinizione completamente nuova della professione dello stilista. Agli stilisti non restava altra scelta, anche perché il loro successo aveva creato veri e propri imperi finanziari, dove si produceva tutto ciò che stava attorno all'abito. Non solo gli accessori, ma l'arredamento stesso dell'abitazione. La concorrenza, a causa della globalizzazione, era spietata e ogni mossa affidata ad agenzie e curatori d'immagine doveva colpire il target designato. La moda degli anni ottanta fu caratterizzata dal culto del successo e dell'efficienza. Il quadro venne tuttavia completato dalle tendenze eversive dei punk e degli altri gruppi della cultura urbana giovanile.
Si sviluppò inoltre la corsa alla forma fisica, e anche per persone non più giovani si crearono indumenti casual presi dall'abbigliamento sportivo.
Il successo del Made in Italy in questo periodo derivò anche da abili strategie di marketing:
Milano strappò la palma di capitale della moda a Firenze, Venezia e Roma e si fronteggiava con la regina della scacchiera della moda, Parigi .
Diventarono famosi stilisti come Giorgio Armani, Ottavio Missoni, Gianfranco Ferré, Gianni Versace, Dolce & Gabbana, Miuccia Prada e Krizia.
Il successo di D&G derivò dalla pop star Madonna, entusiasta degli abiti dei due stilisti, che spaziavano dall'erotismo chic al trasandato, con calze nere e biancheria intima da portare in vista.
L'ideale di bellezza femminile si ispirò alla donna sportiva e snella, muscolosa e ambiziosa, di successo sia nel privato che nel pubblico, grazie anche al fatto di essere sempre vestita adeguatamente.
Le spalle dei vestiti femminili si allargarono e gonfiarono; onnipresente il binomio giacca-tailleur con valigetta portadocumenti. Il modello della donna manager, non più femminile e fragile, ma dura e spietata sul lavoro.
Con il passare degli anni molte volte le tendenze di altre epoche tornano alla moda, per esempio gli hot pants, nati nel corso degli anni settanta li rivediamo nel 2020; i pois, tendenza molto frequente negli anni ‘50, oggi sono tornati di moda; le borse a secchiello, nate negli anni ‘30, i designer ricominciarono a produrle; colori acidi, usati molto tra gli anni settanta o ottanta, per questo chiamati “anni della disco”, nell’ultimo decennio si stanno ricominciando ad usare; lo stile jungle, il quale diventò di moda all’inizio degli anni ‘90; i sandali con i lacci, anche chiamati “sandali alla schiava”, proprio da questo nome possiamo capire che risalgono fin dai tempi dell’antichità; lo stile scozzese, diffuso in tutto il mondo dopo la seconda guerra mondiale e oggi tornato di moda.
Con questo articolo e con l’aiuto di OBBIETTIVAMENTE vorrei che i giovani di oggi che hanno molta creatività e molta fantasia pensassero di lavorare in questo ambito; è quel tipo di lavoro che permette di esprimersi senza scrupoli, e lo consiglio anche perché in Italia abbiamo moltissimi corsi di Fashion Design, Fashion Stylist, Fashion Communication e tanti altri con materie davvero affascinanti nel sito di IED (Istituto Europeo di Design).
Costanza Stassi, IV^O
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