
Il colore della pelle, il luogo di provenienza di una persona, la propria religione, il culto, e, ma non meno importante, la sessualità sono tutti elementi che rendono una persona unica e indistinguibile rispetto alle altre.
L’Associazione Psichiatrica Americana (APA) risponde ad una domanda: “Cos’è l’orientamento sessuale?”
L’ente afferma: “L’orientamento sessuale si riferisce a un modello stabile di attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso gli uomini , le donne, o entrambi i sessi”.
In genere l’orientamento sessuale di un individuo emerge tra la media infanzia e la prima adolescenza. Molte persone arrivano a comprendere le proprie preferenze sessuali anche in età adulta. Va considerato però che spesso sono proprio i pregiudizi e le discriminazioni a rendere più difficile tale consapevolezza e , di conseguenza, accettare il proprio orientamento sessuale. Non sono rari, ad esempio, casi di uomini e donne con alle spalle matrimoni con persone del sesso opposto, con le quali hanno avuto anche figli, che si sono poi scoperti e/o accettati successivamente come gay, lesbiche o bisessuali.
È opinione comune nelle menti bigotte che l’omosessualità sia una cosa contro natura; si arriva quindi a un estremismo talmente forte che sfocia in odio nei confronti di persone con un orientamento sessuale “diverso dall’eterosessualità”. Sono proprio gli omofobi a infondere insicurezza nelle persone riguardo il proprio orientamento sessuale. La domanda qui sorge spontanea: “LA NOSTRA SOCIETÀ È SERIAMENTE COSÌ DEPLOREVOLE E OMOFOBA?” Purtroppo la risposta è sì, poiché ancora molta gente non riesce a comprendere che l’omosessualità non è né una scelta né è una malattia, quindi non va curata e non si deve nemmeno cercare di cambiare opinione sul proprio orientamento sessuale. Una reazione a questo tipo di comportamento potrebbe spesso scaturire negli omosessuali una sorta di omofobia interiorizzata, ovvero l’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi verso la comunità di cui essi stessi fanno parte. Il suo sviluppo è considerato, tuttavia, un processo normale nella vita di gay e lesbiche, in quanto è un’inevitabile conseguenza del fatto che tutti i bambini sono esposti alle norme eterosessiste e ai pregiudizi sull’omosessualità.
Non è noto cosa determini realmente l’orientamento sessuale, sebbene la ricerca negli ultimi decenni abbia cercato delle spiegazioni psicologiche, sociali, genetiche, ormonali e culturali. Finora non sono emersi risultati che abbiano permesso conclusioni definitive, quindi, nessuna teoria eziologica è riuscita a raggiungere un livello minimo di verificabilità richiesto dalla scienza per definire una validità su una teoria che porterebbe avanti determinate ipotesi ad una conclusione. Quello su cui la maggior parte degli scienziati concorda è che non si tratta sicuramente di una malattia e non è quindi curabile in alcun modo.
La parola omosessualità è stata tolta definitivamente dal Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM), manuale dove psicologi e psichiatri possono trovare le linee guida con cui stabilire la presenza o meno di un disturbo mentale, già dal 1973. Il documento dell’Associazione Psichiatrica Americana (APA), che sanciva questa modifica, dichiarava: “L’omosessualità in sé non implica un deterioramento nel giudizio, nell’adattamento, nel valore o nelle generali abilità sociali o motivazionali di un individuo”.
Vi sono però delle terapie erroneamente definite riparative, ad opera di centri di ispirazione religiosa, che cercano di “convertire” gli omosessuali all’eterosessualità. E di questa cura ne sono ben noti i rischi potenziali, quali la depressione, l’ansia, comportamento auto-distruttivo che in alcuni casi estremi termina con il suicidio della vittima. Joseph Nicolosi è considerato il padre delle cosiddette “terapie riparative”, fondate su preghiere collettive, counselling pastorali e tecniche sicuramente meno invasive ma altrettanto sbagliate rispetto a quelle utilizzate in passato come l’elettroshock, suggestione ipnotica, terapie aversive o iniezioni di farmaci.
Tra gli scenari più cruenti vi sono i cosiddetti campi di rieducazione per adolescenti, in cui ragazzi e ragazze, che hanno dichiarato la propria omosessualità, vengono portati dai genitori e sottoposti a durissimi, inutili e dannosi regimi terapeutici, che non si concludono in nessun “cambiamento” positivo.
Il “coming out” è una dichiarazione con la quale si sceglie di rivelare il proprio orientamento sessuale alle altre persone; è un percorso che attraversa diversi stadi, a partire dalla rivelazione a una sola persona o a pochi intimi, fino all’apertura totale, che dovrebbe portare ad un pieno sviluppo di un’identità integrata.
Molte persone faticano ad identificarsi come omosessuali, prima di tutto con sé stesse, a causa dei pregiudizi omofobici della società. Per questo motivo, si può dire che il primo coming out è quello che si fa verso sé stessi, senza il quale non sarebbe possibili la completa accettazione in presenza di altre persone.
Con l’espressione “LGBTQ+” si intende Lesbiche/Gay/Bisessuali/Trangender/Queer o Questioning, mentre il “plus” indica tutto quello che non è stato identificato nelle “iniziali” precedenti. Tra l’altro, in quel + sono presenti anche tutti colori che sostengono i diritti della comunità LGBTQ. LGBTQ+ è, quindi, un acronimo che tenta di rappresentare l’immensa variabilità di persone appartenenti a minoranze sessuali.
Una testimonianza sulla violenza contro persone della comunità LGBTQ+ è quella di Thomas Couser (1996) descrive cosa significa essere omosessuale e vittima di discriminazione e, soprattutto, violenza verbale e spiega cosa ha provato quando ha visto la sua macchina ricoperta di scritte offensive riguardanti la propria omosessualità. Egli afferma: “La possibilità che potessi essere osservato mi rendeva paranoico.
È questo- riflettevo- ciò che significa essere omosessuale… essere costantemente infastidito da gente completamente estranea. Nel lusso di questi brevi momenti, cominciai a pensare che ci vuole una buona dose di coraggio per essere apertamente gay… come mi sentivo vulnerabile! Per alcuni giorni provai paura e shock, paura che l’incidente si potesse ripetere o che la violenza potesse aumentare. Mi sentivo violato e mi faceva rabbia la mia incapacità di reagire. Mi sentivo come se fossi stato etichettato per sempre… gli stereotipi del genere e l’omofobia sminuiscono e rendono numeri tutti noi”.
Con il passare del tempo il modo di approcciarsi a questa realtà fortunatamente è variato; infatti in molti paesi è stata legalizzata l’unione civile omosessuale, come in Italia e negli Stati Uniti dal 2012. C’è una ragione per cui si è legalizzata solo l’unione civile; la parte più radicale ed estremista della comunità ecclesiastica cattolica non tollererà mai le unioni religiose per i membri della comunità LGBTQ+.
Con questo articolo e con l’aiuto di “OBBIETTIVAMENTE” vorrei che si ampliasse il nostro punto di vista sull’argomento, per capire che l’omosessualità non è una cosa contro natura, non è una malattia perciò non ci può essere curata; dovremmo essere sempre inclusivi e lottare per far sì che, persone come noi, abbiano i nostri stessi diritti.
Costanza Stassi, IV O
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